|
A cura di Sonia Giorgi Testi tratti dalla pubblicazione promossa in occasione della commemorazione |
|||||||||||||||||||||||||||||
Tre poesie inedite
|
|||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||
Avevi ignorato Nessun assalto in vista |
|||||||||||||||||||||||||||||
Composta l1 ottobre 1995
|
|||||||||||||||||||||||||||||
Il Senzanome Composta il 12 aprile 1996, ore 16.00 |
|||||||||||||||||||||||||||||
EVA nata da
Variante del 31 luglio 1996, ore 18.00
|
|||||||||||||||||||||||||||||
Emily Dickinson (1760) Elysium is as far as to What fortitude the Soul contains, |
|||||||||||||||||||||||||||||
Quanto
lElisio è prossima Quanto
coraggio in unanima se |
|||||||||||||||||||||||||||||
Ultima revisione il 2 maggio 1996, ore 4.30 |
|||||||||||||||||||||||||||||
Ricordi
|
|||||||||||||||||||||||||||||
Lultimo dono
Un foglio di carta extrastrong, tre poesie dattiloscritte, la dedica in rosso: A Silva - Sara - Maggio 1996.
Lappuntamento era davanti alledicola. La vidi sbucare dallalto della Cittadella. Camminava con il solito passo affrettato e lieve. La salutai da lontano con un ampio cenno del braccio. Era un mezzogiorno di primavera, luminoso e tiepido e decidemmo di sederci allaperto, ad un tavolino un po appartato del nostro solito bar. Sara non amava i luoghi chiusi, non amava stare in casa: la si poteva incontrare lungo i suoi percorsi da Città Alta a Città Bassa, con qualsiasi tempo, assorta e tesa a cogliere impercettibili fremiti e vibrazioni.
Quel mezzogiorno di maggio mi porse senza indugiare il foglio con le tre poesie: Mi devi dire subito quale preferisci, per me è importante saperlo. Scelsi questa, quasi una profezia: In travaglio Silva Felci |
|||||||||||||||||||||||||||||
Interventi |
|||||||||||||||||||||||||||||
Un Maestro, unamica
Come chiudere in un breve giro di frasi l'incontro che ha impresso un sigillo sulla mia vita, dal punto di vista sia personale che professionale? Di questi ultimi quindici intensissimi anni della mia esistenza, Sara Virgillito è stata, fra i miei pochi amici, quella amica del cuore, che ho sentito essere, insieme, sorella, genitore e maestro, tanto che mi è difficile tornare con la mente al 1972, quando, ginnasiale, per la prima volta l'ho incontrata nel suo ruolo di stimata Docente del Liceo Sarpi. Era una insegnante che poteva intimorire per la severità dello scrupolo e della disciplina, ma che riusciva ad affascinare: bastava che scendesse dalla cattedra, si appoggiasse davanti ad essa con un libro, spesso di poesia, tra le mani e, con lo sguardo ad un oltre lontano, si accingesse a parlare: subito si faceva un silenzio fatato. L'interpretazione dei testi aveva inizio proprio allora, dal flebile, ma potente soffio della sua voce, dal timbro vibrante dominato dalla erre francese, da quella modalità solo sua di trasmettere l'anima delle parole. Credo che questo costituisca uno fra i ricordi più suggestivi di chi ha goduto del privilegio del suo insegnamento. Così è stato che Sara ha educato all'amore e alla comprensione profonda dell'Arte centinaia di ragazzi, molti dei quali sono andati per il mondo a fare tutt'altro che gli artisti, ma hanno conservato in se stessi il valore sacro del Domandare, della dura tenacia nella Ricerca, del tentare sempre una Risposta, che sono racchiuse nella potenza della parola artistica, del gesto figurativo, della musica, di ogni espressione creativa che non sia puro compiacimento narcisista o retorica. Chi, come me, ha deciso di coltivare anche come professione il piacere che procura l'Arte, ha avuto in dono l'intuizione di un metodo critico in cui è la passione che guida cuore e mente a cercare il senso: cuore a cuore, il sentimento del lettore vibra in consonanza con l'Artista e accoglie nel proprio grembo la sua voce, ne connette l'espressione artistica agli eventi della vita, senza mai confondere i due livelli, con discrezione e rispetto. Solo dopo, il fil di lama di un pensiero critico vigile e tecnicamente sapiente, che sa ricondurre intuizioni e passioni in un ordinato intreccio, capace di svelare lati inediti e spesso innovatori, di Autori e Opere. Questa mi sembra essere una delle chiavi di lettura del lavoro critico della Virgillito, di cui purtroppo ci rimane, edito, davvero poco, rispetto a quella che è stata per decenni la quotidiana fatica di questa straordinaria insegnante. Ai tempi della scuola non sapevo nulla dell'attività poetica della Virgillito, sempre discreta, al limite della reticenza, nei confronti della propria opera: ho potuto scoprirla gli anni seguenti, quando Sara ed io abbiamo visto stringersi sempre più il nostro legame ed io ho potuto gettare il mio sguardo carico di attese al progressivo maturarsi della sua attività. Poesia difficile, elitaria, la sua, simbolica e visionaria, carica di mistero. La voce, sconosciuta al grande pubblico, della Virgillito è, a mio parere, una delle più potenti del Novecento, un grido profetico che si potrà avvicinare e maggiormente comprendere, come spesso avviene per i maggiori, solo postuma. E non credo si possa imputare a questo giudizio di essere condizionato dalla venerazione e dall'amicizia, se si ricorderanno le parole scritte nel 1984, nella prefazione alla raccolta Nel grembo dellattimo, dal critico Carlo Bo, che definivano la Virgillito uno dei pochi veri poeti di quest'ultimo trentennio. Insegnante, poeta, critico letterario e traduttore, attività questa che compendia le due ultime citate: ecco la Sara in cui ho sempre visto un raro modello intellettuale. Ma ciò di cui più sento la mancanza è dell'amica del quotidiano: mi manca il poterle telefonare a lungo la sera; l'incontrarla, magari per caso, mentre, col suo passo ondeggiante e la assenza di sguardo tipica dei miopi gravi, passeggia assorta lungo le mura di Città Alta o mentre, seduta al tavolo di uno dei suoi caffè preferiti, medita, legge, scrive. E stato anche difficile essere amici di Sara, accettare quel suo spietato bisogno di sincerità ad ogni costo, la sua necessità di ampi spazi di silenzio e di solitudine, la sua suscettibilità nei rapporti, la facilità disperante con cui si potevano urtare le sue fragilità. Ma, sempre, nellinsondabile azzurro dei suoi pungenti occhi di cielo, ho potuto scorgere il segreto di una misteriosa affinità, che ci ha legato fino agli ultimi istanti della sua esistenza e che sento ancora durare.Una vita per l'Arte e la Cultura, dove i libri non sono solo oggetti d'elezione, di studio, di svago, di un piacere quasi sensuale, ma testimoni vivi della continuità ed eternità della vita dello spirito. Così, l'ultima immagine che vorrei proporre è proprio quella dei libri coi quali la Virgillito condivideva la sua casa. Alla sua morte, grazie alla rara disponibilità del Dott. Sergio Romanelli, si sono potuti schedare 3119 volumi. La maggior parte sono di poesia, altri di prosa, italiani e stranieri, classici, moderni e contemporanei; sono cospicuamente rappresentate anche la filosofia occidentale e orientale, la psicologia analitica e la psicanalisi, le religioni, l'arte figurativa: un patrimonio ora affidato, insieme agli autografi, editi ed inediti, alle lettere dei molti intellettuali suoi corrispondenti e ad ogni altro documento, alle cure dell'Archivio di Stato della città di Firenze, forse il più caro dei suoi luoghi d'elezione, dove sarà possibile valorizzarlo, anche nellambito del progetto della locale Università di un Archivio della scrittura delle donne.Sara, nei rari momenti in cui le pesava l'assenza di notorietà, soleva dire, a titolo di battuta semiseria, con un tono fra il civettuolo e il dispiaciuto: "Un giorno qualche giovane studioso, frugando negli schedari di una biblioteca in cerca di un qualche Virgilio, troverà anche il mio nome. Si chiederà: chi mai era costei? Così si scoprirà la mia opera!". Possiamo ora auspicare che la giusta valorizzazione del suo lavoro non percorra strade tanto affidate al caso. Ma davvero non mi riesce di immaginare nessun miglior luogo di una biblioteca della tradizione della Civica Maj per ospitare il nostro saluto grato a Rina Sara Virgillito. Sonia Giorgi |
|||||||||||||||||||||||||||||
Nota bibliografica
|
|||||||||||||||||||||||||||||
Nota biografica
Il 12 agosto 1996, nella sua casa di Bergamo, Rina Sara Virgillito lascia improvvisamente, e discretamente come suo costume, una vita terrena povera di eventi esteriori, ma visitata dalle voci della poesia. Nasce nel 1916, il 29 settembre, giorno di S.Michele, a Milano e in questa città compie i suoi studi; a meno di ventanni, con Luigi Castiglioni, che sempre e con grato affetto considererà suo maestro, si laurea a pieni voti in Lettere antiche con una tesi sulla Fedra di Seneca. Del resto, proprio unintellettuale, o meglio, un poeta è quello che la madre desidera diventi il figlio che porta in grembo, se passa lintera gravidanza a leggere e copiare a mano versi di poeti sperando che ciò possa influenzare le future inclinazioni del nascituro, come un articolo scientifico dellepoca promette. E, sempre per questa stessa ragione, protegge la figlia da ogni incombenza pratica e dalla vita esteriore, favorendone, o forse condizionandone, lattitudine introversa. Il padre, un ingegnere la cui creatività si riversa in brevetti che lo scarso senso pratico gli vieta poi di sfruttare economicamente, è nato in Sicilia ed è un uomo dalla sensibilità tormentata, che si cruccia vedendo le sue stesse malinconie specchiate negli occhi di quella bimba che, come dice, non ride mai. Nel 1946 troviamo la Virgillito a Lovere, il luogo più vicino a Milano a cui le è stato possibile ambire dopo essere risultata fra i primissimi nella graduatoria dellallora nazionale concorso che dava accesso allinsegnamento: vive isolata dagli ambienti intellettuali, per unici corrispondenti le amate pagine dei poeti. Uno in particolare le pare il più grande: Eugenio Montale. Sulla sua opera ha intuizioni fulminanti che, mandate a Vittorini per un giudizio, sono da questi fatte conoscere allinteressato e le fruttano una amicizia che, amministrata con suprema discrezione, continua per lunghi anni, punteggiata da intensi colloqui col Poeta, alla cui casa ha accesso, come solo a pochi accade, fino alla morte. E per debita venerazione nei suoi confronti e soltanto alcuni anni dopo la sua scomparsa che, nel 1990, vince lavversione che prova verso la scrittura critica, per pubblicare La luce di Montale, saggio che ne indaga la religiosità. Mentre, ora a Bergamo, al liceo classico, il suo talento critico ha modo di effondersi nellinsegnamento, la Virgillito scrive versi che fa leggere con trepidazione solo a pochi amici, ma soprattutto studia e ama altri poeti, e li traduce. Durante tutto il corso della sua esistenza compie versioni dalle lingue delle maggiori culture europee: dal tedesco (il Rilke de La Vita della Vergine ed altre poesie nel 1946), dal greco (Epigrammi greci nel 1957), dal francese (il Testamento di Villon nel 1976), dallinglese (Shakespeare, che avvicinato fin dal 1969, sortirà una traduzione, prima antologica nel 1984, poi integrale nel 1988, de I sonetti; la Barret Browning dei Sonetti dal portoghese nel 1986). Tradurre non è per la Virgillito una professione, ma significa ogni volta misurarsi per lungo tempo e con grande intensità, con segrete simmetrie. E un intimo colloquio con un simile, un abbraccio forte che tempra il carattere come può farlo una vera amicizia, è trasposizione creatrice, e senza tradimenti, della voce dellaltro che parla al cuore con una lingua diversa, ma consonante alla tua. E, se si presta attenzione alle tematiche e alle date di composizione, quelle stesso filo rosso si intuisce esistere fra il lavorio del traduttore e le raccolte in versi: I giorni del sole (1954); La conchiglia (1962); I fiori del cardo (1976) ; Nel grembo dellattimo (1984) ; Incarnazioni del fuoco in sette movimenti (1991); Lalbero di luce (1994). La Virgillito distilla lentamente, anche se con più libertà dopo le dimissioni dallinsegnamento nel 1979, le proprie opere, ma con sempre maggiore convinzione nelle proprie capacità, anche grazie allincoraggiamento offertole dalla stima degli addetti ai lavori e in particolare di un grande critico, che resterà sempre convinto sostenitore delle sue prove poetiche: Carlo Bo. Intanto viaggia, coltiva lamore per la musica (menziona spesso un suo avo siciliano compositore il cui ritratto troneggia nel salotto di casa e lei stessa suona il pianoforte) e per la pittura, di cui confessa avere sempre qualche volume sul tavolo di lavoro, così come sono note agli amici la sua attitudine allo schizzo e labitudine ad alternare sui suoi quaderni disegni a poesie. Dopo il 1980, i suoi interessi vanno ampliandosi e approfondendosi, grazie ad un più intenso rapporto con la psicologia, in particolare Jung e i suoi seguaci; si ravviva la forte religiosità cristiana, a cui danno una particolare sfumatura la rinnovata e fervida ripresa degli studi di filosofia orientale, già interesse di gioventù, e la pratica dello yoga e della meditazione: elementi tutti che lintensa spiritualità delle ultime sue opere ci lascia intuire. Alla sua morte restano inediti un patrimonio di molte centinaia di versi e nuove traduzioni, fra le quali le ultime: una nutrita antologia delle poesie di Emily Dickinson; i Sonetti a Orfeo di Reiner Maria Rilke. Le bozze di questultimo lavoro, attende la Virgillito da Garzanti per lautunno di cui non potrà vedere i colori. Il cerchio della sua esistenza, della sua arte, è magicamente destinato a serrarsi su se stesso mentre, con passione, dà nuova voce al poeta che per primo lha spinta ad esprimersi cinquantanni addietro. Sonia Giorgi
|
|||||||||||||||||||||||||||||
Bibliografia | |||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||